La Chiesa, la pedofilia e una coraggiosa tesi di laurea

“Percorsi della pedofilia in ambito ecclesiastico: documenti e silenzi”. A fine luglio, discutendo una tesi così intitolata, la dottoressa Margherita Colaprico si è laureata in Antropologia culturale all’università di Bologna. Durante le presentazioni del mio libro – la prima fu proprio nella città delle Due Torri – ho ripetuto spesso che il fenomeno della pedofilia nel clero, o meglio, della pedofilia in generale, non è mai stato indagato veramente a fondo sebbene da almeno 25 secoli  non esista una società immune. A Oriente così come a Occidente. Ci sono però segnali inequivocabili che qualcosa stia finalmente cambiando. Alcuni, molto forti, li riporto “giornalisticamente” nel mio saggio e sono legati alla ricerca medico-scientifica che prende le mosse dalla Teoria della nascita elaborata dallo psichiatra Massimo Fagioli. L’indagine della Colaprico è un tassello importante che si aggiunge a un lavoro di ricerca indispensabile per fornire strumenti di conoscenza non solo agli addetti ai lavori. Mi riferisco in particolare ai miei colleghi giornalisti. Raramente infatti l’interesse manifestato dall’opinione pubblica nei confronti delle dinamiche che sono all’origine di questo crimine ottengono risposte precise e coerenti dal mondo dell’informazione. Ed è troppo semplicistico puntare il dito contro il noto servilismo dei media nei confronti delle gerarchie vaticane. Nel pubblicare questa intervista che fa parte dell’inchiesta contenuta nella sua tesi, desidero ringraziare Margherita Colaprico per avermi interpellato e le auguro una carriera professionale ricca di soddisfazioni.

FT

**

Intervista di Margherita Colaprico a Federico Tulli (11 giugno 2012)

Cosa pensa della questione pedofilia e silenzio della Chiesa cattolica?

Ritengo che la pedofilia sia un fenomeno ancora scarsamente indagato in generale, non solo per quanto riguarda la Chiesa cattolica. Penso che il silenzio vaticano abbia diverse matrici, ad esempio di ordine culturale, ma spesso è legato anche alle cosiddette “ragioni di Stato”. Ragioni comunque inaccettabili perché stiamo parlando di un crimine orrendo compiuto con lucidità nei confronti degli esseri umani più indifesi.

Dopo i fatti scoperti e posti sotto i riflettori, dei media internazionali, in tutto il mondo, crede che ci sia ancora, da parte dei media nazionali, una certa ritrosia a parlarne?

Ci sono stati segnali positivi. Nei primi mesi del 2010, quando lo scandalo travolse diverse diocesi cattoliche in Irlanda, Gran Bretagna, Olanda, Germania, Belgio, la stampa italiana ha seguito le vicende con estremo interesse. In seguito però c’è stato un notevole calo di attenzione, specie dopo che la Santa Sede per bocca di Benedetto XVI ha fatto pubblica ammenda delle responsabilità dei sacerdoti pedofili, chiedendo perdono alle loro vittime. Nessuno però qui in Italia ha mai pensato di chiedere a costoro cosa ne pensassero di queste scuse. Un altro fattore secondo me significativo consiste nell’indifferenza manifestata a tutti i livelli, non solo quello dell’informazione, riguardo le radici della diffusione della pedofilia nel clero cattolico in particolare, nella società occidentale più in generale. La violenza nei confronti dei bambini è un fenomeno che attraversa 25 secoli di storia. Dalla paideia di Platone in poi è costante l’idea che il bimbo sia un piccolo adulto da plasmare, o peggio, che non sia un essere umano finché non raggiunge l’età della ragione. Io sono d’accordo con chi sostiene – come fa lo psichiatra italiano Massimo Fagioli intervistato nel mio libro Chiesa e pedofilia – che questo pensiero terribile di negazione dell’identità del bimbo porti come conseguenza la possibilità di violentarlo o di ucciderlo con la convinzione di non commettere nulla di male. Al più si tratta di un peccato, seppur grave, che è possibile espiare con una confessione e qualche preghiera. Ecco, a fronte dell’esplosione degli scandali che stanno scuotendo pesantemente le fondamenta della Chiesa cattolica (pensiamo al peso rappresentato in termini “culturali” da questa istituzione) è mancata quasi totalmente un’indagine approfondita sulle reali cause della pedofilia.

Come giudica la legislazione italiana a riguardo?

Negli ultimi 15 anni sono stati fatti molti interventi positivi ma la situazione potrebbe essere migliore. Nel 1996 c’è stata una riforma dei reati in materia di delitti a sfondo “sessuale”, per cui da reati contro la moralità pubblica sono entrati a far parte dei reati contro la persona. Su questo ha inciso anche l’adesione dell’Italia alla Convenzione Onu dei diritti del fanciullo del 1989. Successivamente, nel 2006 con le “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedo-pornografia a mezzo internet” sono stati introdotti vari articoli al fine di contrastare le diverse modalità di sfruttamento dei minori. Le principali novità sono essenzialmente: l’inasprimento delle pene e l’ampliamento della nozione di pornografia minorile. C’è però chi sostiene che per l’entità del danno psichico provocato nella vittima la pedofilia sia da equiparare all’omicidio e allora forse le leggi sono ancora insufficienti. Molto di più si potrebbe fare anche in termini di prevenzione e monitoraggio del fenomeno, se il parlamento italiano ratificasse la Convenzione di Lanzarote. Adottata dal Consiglio d’Europa il 12 luglio 2007, è il primo strumento a livello internazionale che considera reati le diverse forme di abuso sessuale commesse in danno di bambini e adolescenti con l’utilizzo della forza o delle minacce. Il governo italiano è stato tra i primi a sottoscriverla, il 7 novembre dello stesso anno. Ma non è mai stata convertita in legge. Un fatto inspiegabile poiché essa contiene tra le altre misure, il raddoppio dei termini di prescrizione entro cui è possibile denunciare l’abuso (oggi il termine è di 10 anni da quando è stato commesso il reato), l’introduzione del reato di apologia della pedofilia, l’inasprimento delle pene e cosiddetto grooming cioè l’adescamento dei bambini attraverso internet. Personalmente ritengo che la prescrizione dovrebbe essere eliminata del tutto. Ci sono vittime che hanno impiegato 30 anni e più per prendere il coraggio di parlare della violenza con qualcuno, di solito uno psicoterapeuta. E non sono casi rari.

Come avrà sicuramente appreso per la prima volta a Savona, una sentenza storica, con ben sei pagine di ordinanza, che argomenta i reati dei preti pedofili savonesi e dei vescovi che li hanno coperti, come Dante Lanfranconi, che non solo ha permesso, ma ha anche alimentato le perversioni sessuali di almeno due sacerdoti. Qualcosa sta cambiando?

Lo scorso anno don Ruggero Conti è stato condannato da un tribunale italiano in primo grado a 15 anni e 4 mesi per violenze e induzione alla prostituzione di sette ragazzini. Forse questa è stata la prima vera sentenza storica in Italia, sia per la portata della condanna che per l’“importanza” del soggetto condannato: Conti era il parroco della ricchissima Natività di Maria Santissima di Roma ed era stato consulente per la famiglia del sindaco Gianni Alemanno durante la campagna elettorale alla corsa per diventare Primo cittadino della Capitale. Direi quindi che segnali positivi di cambiamento ce ne sono. Ma poi penso che durante il suo processo è emersa con chiarezza che l’omertà delle gerarchie ecclesiastiche è sistematica così come la loro indifferenza alle segnalazioni, per cui dico che ancora molto resta da fare. Specie a livello istituzionale nei rapporti con lo Stato vaticano.

La reazione del Vaticano, spesso, alle tante denunce è stata quella di attuare trasferimenti dei preti pedofili da una diocesi all’altra, ha preferito proteggere i propri uomini e non i bambini abusati. Qual’è il suo parere?

Il Vaticano si è sempre difeso, e lo fa ancora, sostenendo che i responsabili dei trasferimenti “incriminati” sono i vescovi delle singole diocesi. Questa risposta è tecnicamente corretta. C’è però una questione morale che non si può ignorare, come invece la Chiesa continua a fare. Un esempio per tutti riguarda Bernard Francis Law. Costui era il vescovo di Boston quando nel 2002 scoppiò il primo grande scandalo “di pedofilia ecclesiastica” della storia. La sua diocesi viene travolta e lui ammette di aver insabbiato “casi” e coperto i responsabili. Pertanto si dimette. Ebbene, per tutta risposta Giovanni Paolo II lo “chiama” a Roma e lo piazza come arciprete alla Basilica di Santa Maria Maggiore. Anni dopo, sarà proprio Law a officiare la messa in suffragio di Wojtyla davanti ai cardinali di tutto il mondo. Un trasferimento premio.

La Chiesa cattolica può essere ritenuta, oggi, un luogo sicuro per i bambini?

Due anni fa proprio mentre Benedetto XVI intimava ai vescovi la “tolleranza zero” nei confronti dei sacerdoti pedofili, don Fortunato di Noto (associazione Meter) venne intervistato a RadioVaticana. «Anche in Italia – disse – bisogna fare un lavoro sui seminari. Molto, molto lavoro di formazione, di discernimento nei seminari. Bisogna fare un attento monitoraggio ma anche affrontare le situazioni delicatissime che si vengono a creare con molta oculatezza, prudenza e soprattutto efficacia». Il messaggio era chiaro. È nei luoghi di formazione delle nuove leve del clero che si insidia il “cancro” della pedofilia. Ed è qui che occorre fare opera di prevenzione. Specie in quelli minorili, dove dei preti “educano” bambini tra gli 8 e i 16 anni. L’età più critica. Non a caso la Carta dei diritti del fanciullo delle Nazioni unite (1989) ne ha proibito l’istituzione, spiegando che i bambini devono rimanere in famiglia per crescere nell’ambiente più consono al loro sviluppo. Per impedire cioè che avvenga uno “strappo” educativo negli anni in cui si entra nell’età adolescenziale, quella più delicata dal punto di vista della sessualità. Ebbene, anche per il crollo delle vocazioni questi seminari vanno oramai chiudendo in quasi tutto il mondo. Ma in Italia secondo l’ultimo dato disponibile ce ne sono ancora 123. A essi vanno aggiunti 25 convitti, per un totale di 2.743 seminaristi minori. È quanto risulta dall’ultimo censimento disponibile effettuato dalla Cei nel 2007. Allo stesso modo risulta che quella Carta dell’Onu non sia mai stata sottoscritta dal Vaticano.

Si è discusso molto sul tema del celibato. Crede possa essere una delle tante cause di una perversione alquanto diffusa nelle diocesi?

Assolutamente no. Lo psichiatra Andrea Masini in un’intervista mi spiegò chi è il pedofilo: «La pedofilia è una grave patologia psichiatrica. Il pedofilo prima di essere un criminale è un malato affetto da psicopatia grave o da schizofrenia. Alcune volte queste malattie hanno degli aspetti in cui prevale la lucidità. Il pedofilo non ha la confusione mentale del matto nello stereotipo del pensiero comune. Al contrario è calcolatore, capace di gestire il proprio comportamento, manierato». I numeri sulla diffusione della pedofilia nel clero suggeriscono l’ipotesi che molti pedofili si scelgono apposta determinate professioni. Non c’è dubbio che l’organizzazione della Chiesa risponda a certi requisiti. Il pedofilo, da calcolatore qual è, sa che il suo comportamento sarà coperto dal silenzio delle gerarchie ecclesiastiche. Perché all’esterno deve rimanere integra la figura del sacerdote misogino, che non ha rapporti sessuali e non ne deve avere. A questo si aggiunga che almeno il 60 per cento degli abusi in Italia sono compiuti in famiglia. Le cause della pedofilia vanno ricercate altrove. Per completezza d’informazione cito anche l’intervista alla psichiatra Annelore Homberg: «Da psichiatra sottolineo che già il termine pedofilia è un’aberrazione linguistica, perché non c’è affatto “philìa” nei confronti del bimbo da parte del violentatore. E poi dico che un prete in celibato semmai diventa masturbatore, al più è costretto a vivere le storie clandestinamente, ma la pedofilia è tutto un altro discorso. Ben vengano tutte le discussioni sul matrimonio dei preti, ma non hanno nulla a che fare con la pedofilia. Peraltro è noto che sono gli ambiti educativi ad attirare le persone che hanno tendenze pedofile. Questo vale per tutte le istituzioni protestanti, cattoliche e non. Difatti ci sono molti educatori finiti in prigione perché colpevoli di abusi su bambini, ed erano sposati».

Il suo libro, “Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro”, denuncia una serie impressionante di episodi forti e numerosi in tutto il mondo. Quale è stato lo stimolo che lo ha portato a condurre una ricerca così difficile e poco documentata?

In realtà esiste un’enorme mole di documenti e libri storici che testimoniano l’esistenza e la legittimazione della pedofilia lungo tutta la storia della Chiesa. Io ho solo tentato di fornire un quadro complessivo del fenomeno, senza limitarmi a elencare dei numeri e dei fatti. Questi sono incontrovertibili. Si parla già di pedofilia diffusa nella Chiesa (come peccato) già nel 305 d.C. al Concilio di Elvira. Lo storico Eric Frattini conta 17 papi pedofili tra il IV e il XVI secolo. Dopo di che per tre secoli gli scandali scompaiono dalle cronache grazie alla solerte attività dei tribunali dell’Inquisizione. Non è un caso che quando questi tribunali vengono chiusi, ricompaiono storie di pedofilia ecclesiastica. Tutto il Novecento ne sarà segnato. Dall’America, all’Africa, dall’Oceania all’Europa. Nella “cattolicissima” Irlanda, nel 2009, si è conclusa una delle più lunghe e dolorose indagini sul fenomeno. Fu pubblicata nel Rapporto Ryan. che in oltre 2.500 pagine parlava di pedofilia come un fatto «endemico» nel clero irlandese e denunciava oltre cinquant’anni di violenze compiute negli istituti correttivi cattolici, da parte di circa 800 tra preti e suore dagli anni Trenta agli anni Ottanta. Pensando alla serialità caratteristica di questo crimine, si teme che le vittime siano state almeno 30mila.

Dopo le scuse di papa Ratzinger sul silenzio e la copertura di molti casi di pedofilia, crede che la Chiesa cattolica stia cambiando atteggiamento a riguardo?

Io penso che negli ambienti ecclesiastici non sia ancora ben chiaro il livello delle mostruosità che per secoli fino a oggi sono state compiute nella più totale impunità. Prevale ancora l’idea che si tratti di un reato contro la morale di cui non si è macchiato solo il carnefice: il diritto parla ancora di atto sessuale di un chierico “con” un minore. Come dicono tutte le vittime che ho avuto modo di intervistare, le scuse non bastano, occorrono dei fatti concreti. Un fatto concreto, ad esempio, è contenuto nelle Nuove norme varate da Benedetto XVI, in cui il Vaticano prevede l’estensione della prescrizione del reato fino a 20 anni dopo il compimento della maggiore età della vittima. E questo è indubbiamente positivo. Ma un fatto concreto è pure che un vescovo italiano non ha l’obbligo di denunciare alla magistratura un presunto reo di pedofilia. È stato ribadito di recente nelle Linee guida della Conferenza episcopale italiana in materia di abusi sui minori da parte di ecclesiastici. Non siamo alla legittimazione dell’omertà ma poco ci manca. Questa cosa ha radici profonde e coinvolge anche degli insospettabili. In tempi recenti fu Giovanni XXIII a dare istruzioni su come nascondere i casi di violenza sui bambini firmando nel 1962 il Crimen sollicitationis. Con Paolo VI questa prassi si è consolidata. Ma è con Wojtila e il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede durante tutto il suo pontificato, che si è radicalizzata. Porta la firma dell’attuale papa il De delicti gravioribus del 2001 con cui si rinnova l’esortazione del Crimen al silenzio sui crimini pedofili commessi da chierici cattolici. Mi risulta difficile pensare che Ratzinger e Benedetto XVI non siano la stessa persona.

Il silenzio può rompersi?

Il silenzio si è incrinato ovunque, tranne in Italia. Negli Stati Uniti si è rotto nel 2002. In Europa due anni fa. Porto un altro esempio sull’Irlanda perché ci aiuta a capire quanto siamo lontani da una soluzione. Nel luglio del 2011 il premier Enda Kenny è entrato in Parlamento ha chiesto la parola e ha pronunciato questa frase in riferimento alle conclusioni dell’indagine governativa su fatti di pedofilia accaduti nella diocesi di Cloyne tra il 1996 e il 2009: «Il rapporto della commissione ha evidenziato il tentativo della Santa Sede di bloccare un’inchiesta in uno Stato sovrano, non più tardi di tre anni fa, non trent’anni fa». E poi ancora, in un altro drammatico discorso pronunciato il 20 luglio davanti alla camera Bassa: «Il Rapporto Cloyne fa emergere la disfunzione, la disconnessione e l’elitarismo che dominano la cultura del Vaticano. Lo stupro e la tortura di bambini sono stati minimizzati per sostenere, invece, il primato delle istituzioni, il suo potere e la sua reputazione». Ecco, ora pensiamo alla possibilità che un primo ministro italiano faccia la stessa cosa, dica le stesse parole. Impossibile. Anche perché certe indagini in Italia non sono nemmeno lontanamente contemplate. Qui da noi se un magistrato si lamenta che non ha mai visto entrare dalla propria porta un vescovo deciso a denunciare un presunto abusatore, accade che il giorno dopo viene sottoposto a un’ispezione del ministero. È successo nell’aprile del 2010 a Pietro Forno. Il capo del pool antimolestie di Milano, massimo esperto in Italia di tali questioni, dopo aver rilasciato un’intervista a Il Giornale in cui osservava la scarsa propensione degli uomini di Chiesa a dare l’input a indagini, si è visto imboccare in ufficio gli ispettori ministeriali. Li aveva mandati il ministro Alfano per verificare che Forno non avesse rivelato segreti d’ufficio.

Lascia un commento